Il dopo
Il taglio per lo più disinvolto di queste pagine mira a
raccogliere i ricordi collettivi del 24° corso in Accademia,
in modo che ognuno sia in grado di recuperare, anche col
sorriso, la propria identità di allora nella sua
scanzonatura, ingenuità, trepidazione ed anche goffaggine.
Se questo obiettivo è stato raggiunto, il compito si può
considerare assolto perché il proposito iniziale non prevede
di andare oltre; tuttavia, esso limita la visione al solo
primo episodio di una lunga serie. Emerge allora la
tentazione di forzare un po’ il tema e proseguire con un
riepilogo ’’progressivamente retrogrado’’ di tutti gli anni
seguenti, cioè di proiettare sullo sfondo di quel biennio le
vicende vissute da lì in poi.
Questa ulteriore operazione presuppone, però, due
condizioni. La prima è che si possa disegnare un inviluppo
collettivo ed omogeneo delle esperienze maturate dai
singoli, giorno dopo giorno, lungo tutto l’arco della
professione. La seconda consiste nella possibilità di
raffrontare questa esperienza, generalizzata, con quelle che
ci accomunavano nello status di allievo.
E’ pur vero che la vita di ognuno è stata scandita da
singoli fatti accidentali e da scelte individuali i cui
effetti non sono stati facilmente prevedibili per l’ ovvia
mancanza di una verifica a priori delle alternative.
Tuttavia, il ’’cosa’’, il ’’come’’ ed il ’’perché’’ della
nostra professione sono le fondamenta gettate a Modena e
molto probabilmente resistono ancora solide. Lo spunto per
allargare la visuale nasce quindi dalla certezza che il
raduno non sia solo il momento in cui per onore al
calendario si scongelano - come la cimice di Majakovskij -
le immagini di quarant’ anni fa ma si presti anche quale
occasione preziosa per consentire a ciascuno di rivedersi in
tutti e di rileggere il proprio cammino in quello, affine,
di ogni altro.
Dopo la dorata parentesi delle Scuole di Applicazione, in
generale, gli inizi non furono sempre facili. I Tenentini
furono proiettati di punto in bianco in reparti strutturati
da decenni e per ciò stesso forti delle loro tradizioni ma
anche intrisi di mentalità resistenti. L’ inserimento in
realtà così diverse da quella asettica degli Istituti di
formazione richiese sforzi non proprio esigui. Ma ’’ogni
scopa nuova spazza bene’’ dice un proverbio e gli
ufficialetti-freschi-di-studi si diedero da fare. Iniziarono
anche a sentire il desiderio di dare finalmente la stura ad
un proprio pensiero originale (attitudine non molto
coltivata, forse inevitabilmente, dagli istituti formativi)
ma, più spesso del contrario, venivano ostacolati.
Infatti l’ impresa già non semplice di assimilare i pregi di
quelle Fortezze Bastiani si rivelava ancora più complicata
(e riusciva solo ai più determinati ma travolgeva i più
incauti) quando invece ci si azzardava a criticare certi
costumi locali perché lontani dagli insegnamenti dell’
accademia. Non suoni a biasimo di chi ha amministrato il
nostro iter formativo: in grandissima parte si è trattato di
professionisti dotati di indiscutibile onestà morale e buona
fede ma, pure, uomini (quindi fallaci) per di più vincolati
alla lealtà verso i canoni dell’ istituto a cui erano
richiesti di conformare la loro azione. In altre parole, la
preparazione agli Ideali della professione aveva trascinato
l’ inconveniente di creare un’ ideale immagine del futuro
bacino d’ impiego.
In certi momenti sembrava addirittura che l’ ammaestramento
dell’ Accademia fosse astratto ed impraticabile, la sua
valenza dubbia e perfino sospettabile di inganno. In un
tempo più o meno breve, quasi ognuno è riuscito ad accordare
il proprio infinitesimale strumento nella gigantesca
orchestra dell’ Istituzione senza compromettere la
limpidezza degli obiettivi, la nobiltà degli intenti e la
serenità dell’ azione, ma per più di uno la liberazione
della dignità e lo scrollone all’ equivoco fra
subordinazione e sottomissione sono stati esercizi non
facili, spesso contrastati e talvolta cruenti. Non pochi
portano cicatrici di vecchie ferite, anche se nella maggior
parte di essi la pacatezza ed il distacco della maturità
hanno ormai sostituito rancore, amarezza o fatalismo.
Dopo diversi anni di reparto, una certa stagnazione
culturale rischiava di intrappolare molti ma il corso di
Stato Maggiore intervenne ad evitarla. La premessa al
Manuale ricevuto nei primi giorni esortava ad agire ’’al di
fuori da rigidi schematismi e da malintesi vincoli
dottrinali’’. Era uno scossone per i tanti ’’si è sempre
fatto così’’ costruiti negli anni ed a tutti apparve
comunque come una boccata di ossigeno. Ad intaccarne un po’
l’ efficacia fu, di nuovo, il rigido ruolo di scolaretti
imposto ai frequentatori.
Se è fuori di dubbio che ogni apprendimento si basa su
fondamenti concettuali, è anche vero che l’ inclinazione a
teorizzare un po’ troppo ed a valorizzare le risposte
conformi al pensiero corrente privilegiandone addirittura l’
esteriorità, non sempre ha reso un buon servizio ai
propositi. Più banalmente, si ricorda l’ obbligo (consegnato
alla Storia fra le pagine di un estemporaneo e simpatico
Numero Unico) di circolare in giacca e cravatta nei momenti
liberi e pure qualche divieto nell’ uso delle autovetture
private. Un certo draconiano Controllore - vera vestale
dell’ Esteriorità anche quando ne avrebbe potuto fare a meno
senza grave danno per il futuro dell’ istituzione - amava
giocare a nascondino con quei quarantenni nelle notti di
Firenze, Livorno, Bari, Palermo, Madrid e chissà dove
ancora, per poi apostrofare i devianti, all’ indomani, con
severo sussiego. Anche questo la diceva lunga sull’
immortalità di certi pilastri della disciplina, già poco
comprensibili a Modena. Non di meno, moltissimi dei Migliori
(ma non solo loro) riscossero a Civitavecchia brillanti
affermazioni, pur se qualcuno di essi - forse perché non
perfettamente allineato e coperto - ottenne meno del dovuto.
Alcuni tornarono ai reparti ed per altri venne l’ esperienza
presso alti Comandi ed Organi Centrali. Questi ultimi
(neo-arrivati per l’ ennesima volta) si trovarono in
osservatori e fucine del pensiero privilegiati ma anche,
inesorabilmente, infettati dal virus del conformismo. Una
leggenda facilmente ironica vuole che quando qualche Alto
Personaggio chiedeva ’’Com’ è il tempo oggi?’’, ’’Come vuole
Lei!’’ fosse la risposta data dai più tenaci cultori della
lusinga come trampolino verso le proprie fortune. Questi
esistevano ma si trattava di casi rari ed isolati, ben
distinti dai veri Migliori che proprio lì hanno gettato il
seme dei più prestigiosi risultati professionali. Giunto il
loro momento, hanno riscosso la ricompensa di meriti
universalmente riconosciuti ed hanno conferito al corso un
degno lustro riflesso.
La massa, onesta seppure indistinta, ha saputo comunque
onorare l’ impegno assunto al buio nel 1967. E, di tutto
questo, l’ intero 24° corso può dirsi soddisfatto.
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