lettera di Michele Franzè

ho preferito lasciar passare qualche giorno, per meglio riflettere, prima di

parteciparTi le mie emozioni sulla condanna inflitta all’amico Giampaolo

Ganzer.

Mi sembra che i giudici, escludendo l’associazione a delinquere, abbiano

sostenuto che Ganzer si sarebbe mosso “non per perseguire vantaggi economici ma

solo per finalità carrieristiche e di visibilità”. Ed allora torno indietro per

40 anni (abbiamo lasciato la scuola ufficiali nel 1971) per dirti che mentre

io, al pari di tanti amici ed illustri colleghi, in questi 8 lustri ho scelto

di frequentare la Scuola di Guerra, proprio per essere agevolato nella

progressione di carriera, Giampaolo (Capo Corso in accademia) non lo ha fatto,

preferendo continuare a fare ciò che gli piaceva di più: l’investigatore.

Mentre io, come i colleghi di cui sopra, ho accettato di prestare servizio in

tanti comandi di sicura visibilità (Torino, Milano, Bari, ecc.), Giampaolo non

lo ha fatto, preferendo continuare a fare l’investigatore, spesso, in ombra,

lontano dai riflettori, ma ILLUMINANTE per  i risultati ottenuti contro la

criminalità organizzata e il terrorismo. Mentre io, e così molti dei colleghi

già citati, non ho avuto esitazioni a prestare servizio al Comando Generale

(tappa quasi obbligata per procedere in carriera), Giampaolo si è sempre

rifiutato (ne sono testimone oculare), preferendo la periferia e le indagini ai

corridoi di Palazzo: se questo vuol dire cercare visibilità e carriera ………!

Concludo dicendoTi che mi onoro di essere amico di Giampaolo da sempre, mi

onoro di esserne stato il comandante diretto tra il 2006 e il 2009 e mi cruccio

di non avere mai prestato servizio alle sue dipendenze. Se avessi avuto questa

opportunità, avrei condiviso senza incertezze e sempre i suoi ordini, certo

della sua cristallinità di sentimenti e del suo incomparabile senso dello

Stato.

Ti abbraccio.  Michele Franzè (1963/67)”